Torniamo ora al 1818, Angelo De Paolis, il fratello di Diomira si trovava incarcerato a Castel Sant’Angelo con sua moglie Giustina Gasbarrone ed i suoi figli; il Carcere Romano ospitava i briganti di marittima e campagna che avevano acconsentito alla Resa di Pio VII, per loro un breve periodo nel carcere e poi l’esilio ed una nuova vita lontano dalla loro terra. Tra i briganti incarcerati anche il giovane brigante di Sonnino, fratello minore di Giustina, Antonio Gasbarrone.
Diomira non è più la bambina che Antonio ricordava e tra le mura del Carcere i due giovani s’innamorano.
Scrive Pietro Masi nella biografia del brigante Antonio Gasbarrone
Da “MEMORIE DI GASPARONI Redate da Pietro Masi suo compagno alla macchia e di prigione”
Torniamo adesso a Castel Sant’Angelo. Tutti gli amnistiati avevano lì la famiglia, e De Paolis che aveva sposato Giustina Gasparoni, la teneva con sé insieme a sua sorella, una ragazza che si Chiamava Demira. Antonio Gasparoni se ne innamorò subito, e dopo aver ottenuto l’autorizzazione necessaria, la sposò subito nella cappella del Comandante del Castello […].
Dai registri di Castel Sant’Angelo i due reclusi già da un anno nel Carcere si sposarono il 2 maggio 1818, celebrò il matrimonio il curato di Santa Maria in Traspontina, nella cappella del comandante, il barone Ancajani.
Qualche mese dopo per i giovani fu assegnato Cento come città in cui redimersi e costruirsi una nuova vita, mentre ad Angelo De Paolis e Giustina fu data Comacchio come destinazione.
Cittadino di Cento sarà il primogenito di Diomira ed Antonio Gasbarrore, la giovane darà alla luce un maschio il 20 maggio 1819, alle ore cinque antimeridiane, in una casa di Borgo di Mezzo, segnata dal numero 294. Il bimbo fu battezzato l’indomani e gli furono imposti i nomi Giuseppe Michele. Furono padrini Francesco Cagnoli e Rosa Montanari nata Parmeggiani. Fu presente Antonio , che davanti a due testimoni, l’arciprete Bergamaschi e Giovanni Masetti, riconobbe “detto biambino per suo legittimo figlio” , Il sacramento fu impartito dal cappellano don Pietro Pedroni, (Arch,Parrocch. San Biagio in Cento, Libro dei battezzati, alla data).
Un quadro perfetto, un lieto fine, una giovane famiglia con tante belle prospettive all’orizzonte, lo stesso gonfaloniere di Cento nutriva per i giovani una sincera amicizia ed in occasione della nascita del bambino il 31 maggio 1819 organizzò una festa per i neo genitori con molti invitati e dal 1° ottobre gli aumentò la pensione di uno scudo e mezzo. Addirittura permise la visita per una settimana del cognato Angelo De Paolis ed una sua figlia, il De Paolis a Comacchio accusava malessere fisico ed oserei dire anche psicologico, non si adattava ne a quel clima e ne a quella vita; il guaio era che anche per Antonio quella vita serena sembrava non piacergli tant’è che il 17 agosto del 1820 scappa da Cento per raggiungere a Comacchio suo cognato ed una volta insieme tornare alla loro vita da brigante, fuggitivi, ma liberi e diretti nella loro terra… a Sonnino.
Diomira era rimasta li a Cento, incredula, rassegnata, a badare a Giuseppe ed incita del secondo figlio. Cuore, anima e fisico iniziarono a risentire della lontananza di Antonio, dei suoi cari, da Sonnino, “cominciò ad appassire come un fiore reciso, tra la compassione della gente”.
Ringrazio Don Michele Colagiovanni per l’accurata ricerca e trascrizione dell’ epistolato che riguarda Diomira che vado qui a mostrarvi :
dopo la fuga di Antonio Gasbarrone il gonfaloniere scrisse al cardinal legato Tommaso Arezzo :
”Il fuggitivo indultato Antonio Gasbarrone ha lasciato la moglie in grave malattia, in stato di gravidanza, ed un tenero figlio di mesi diciotto. La donna non si è voluta accettare nell’Ospedale, perché, essendo incinta, non era ammissibile a seconda delle costituzioni del pio luogo; non si è voluto per si straordinaria compassionevole circostanza declinare dalla regola generale;solo si è offerta la sovvenzione dei medicinali, ed una piccola minestra per l’inferma. Questa è nell’estremo bisogno di essere assistita da una donna, e il tenero bambino non ha di che cibarsi. In si deplorabile situazione ho pregato una donna a prestare servizio all’ammalata, ed ho interessata la compassione di qualche famiglia per gli alimenti al bambino; in pari tempo vengo però a supplicare la bontà di Vostra Eminenza a darmi le di lei istruzioni sul proposito, giacché trattasi di un caso, che interessa vivamente l’umanità, tanto più che la condotta e l’indole della donna inferma, non da a supporre fosse essa consapevole della fuga del marito”.
Il cardinale Arezzo approvò le decisioni del buon gonfaloniere lo autorizzò a continuare a passare, per conto del governo, la pensione di baiocchi trenta al giorno alla donna e aggiunse di suo pugno alla lettera relativa, in data 21 agosto :”Quando la donna sarà sufficientemente ristabilita in salute, la farà trasportare alle carceri un luogo di larga, usandole tutti i riguardi compatibili alla custodia”.
Diomira , “con una docilità e rassegnazione veramente straordinaria, si adattò, come rilevasi da lettera del Gonfaloniere delli 26 successivo, ad essere rinchiusa in carcere col bambino a condizione però, che pel governo del figlio fosse dato in sussidio una donna”. Il 2 settembre il cardinal legato rispose affermativamente. All’assistente, però, avrebbe dovuto provvedere la stessa Diomira con la pensione governativa.
Il giorno 13, il medico delle carceri, Paolo Gigli, dava alla Legazione questo rapporto :” La Diomira Gasbarrone, da che passò in queste carceri, è sempre stata attaccata da febbre lenta (…); la malattia si è aggravata per esserle sopraggiunta una ostinata dissenteria accompagnata da dolori, che la debilitano al segno di non potersi muovere senza aiuto, e mettono in qualche pericolo la sua vita per essere in istato di gravidanza, ricusando in tale situazione il di lei stomaco qualunque medicatura ed anche i più utili alimenti”.
Il dottor Gigli non si ingannava . Il Cardinal legato pensava forse che esagerasse. In data 22 settembre scrisse al Gonfaloniere :”Per provvedere in qualche modo al bisogno, in cui trovasi la Diomira Gasbarrone, potrà Ella amministrare quotidianamente un razione da detenuto al piccolo di lei figlio, ben inteso che un tale beneficio debba cessare col ristabilimento in salute della predetta Gasbarrone”.
Era intenzione del legato che, una volta guarita, Diomira si unisse in Ferrara alla moglie di Angelo De Paolis. Giustina Gasbarrone; ma l’aggravarsi dell’infermità impedì l’attuazione del progetto.
Il 14 ottobre 1820 il Dott. Gigli scriveva :”Alla Diomira Gasbarrone è sopraggiunta da vari giorni la febbre di carattere infiammatorio con puntura pleurica”.
Il 21 novembre l’inferma era in pericolo di vita. Il medico affermava che alla medesima occorreva “una servitù esatta tanto di giorno quanto di notte, tempo in cui era più aggravata”. La spossatezza da cui era affetta , “accompagnata da frequenti convulsioni”, non consentivano il trasporto fuori del locale in cui viveva. Se avesse affrontato un tale strapazzo , sarebbe morta. Non appena ebbe ricevuto il drammatico dispaccio il cardinal legato rispose approvando tutto ciò che era stato fatto e che si sarebbe potuto fare a vantaggio della disgraziata inferma , autorizzando preventivamente il gonfaloniere a sostenere ogni eventuale spesa : ovviamente , senza sperpero. Con quest’ultima limitazione il cardinale, al quale dobbiamo dar atto di spirito unitario , intendeva forse tenere in considerazione quanto il gonfaloniere stesso gli gli aveva anticipato : che, cioè, il Comune si trovava “in mezzo alle crescenti passività” . Tutto fu vano , perché la povera Diomira, presa dalle doglie, partorì un feto morto e ella stessa, poco dopo , morì, a soli venti anni 27 novembre 1820.
Il dottor Gigli ne tessè un elogio sorprendente per un medico e per la moglie di un brigante: “ La vita della sventurata Gasbarrone è ieri cessata alle ore 11 pomeridiane . Come fu detta onesta in vita , così è stata edificante la sua morte. L’ultima sua più fervida preghiera fu di procurare un provvedimento al tenero di lei figlio , che è nel diciottesimo mese di sua età , essendo nato a Cento il 31 maggio 1819”. Il cadavere della donna fu portato nella chiesa dello Spirito Santo, “dalla quale ,dopo la celebrazione di un buon numero di messe in suffragio dell’anima sua, e le esequie di rito”, venne tumulata nel cimitero comunale. Il legato per la custodia e il mantenimento dell’orfano concedeva scudi tre mensili, da passarsi alla governante. Il bimbo fu affidato alla zia Giustina Gasbarrone.
Nel registro dei Morti della Chiesa di San Biagio a Cento è registrato che Diomira partorì nel settembre 1820 un feto morto, con complicazioni e che lei morì il 27 Novembre 1820 alle ore 11 pomeridiane. Il piccolo Giuseppe Michele Gasbarrone, nato a Cento, alla morte di sua madre aveva appunto 18 mesi, venne inizialmente affidato a sua zia Giustina, ma in seguito morì in un istituto.
Non oso pensare cosa accade nel cuore e nella mente di Antonio Gasbarrone, che dettava lettere per sua moglie a Cento per dargli notizie di se in latitanza, e lei già era nel suo letto di morte, la sua famiglia non esisteva più.
Fonti
MEMORIE DI GASPARONI Redate da Pietro Masi suo compagno alla macchia e di prigione
IL TRIANGOLO DELLA MORTE di Michele Colagiovanni
IL BRIGANTAGGIO NEL LAZIO MERIDIONALE E L’OPERA DI SAN GASPARE DEL BUFALO di Michele Colagiovanni