domenica 19 gennaio 2025

Il giornalista e l'ultimo brigante

Ugo Pesci (Firenze, 22 ottobre 1846 – Bologna, 13 dicembre 1908) è stato un giornalista italiano, studioso di Casa Savoia.
Dopo gli studi a Firenze, ove era nato nel 1846, frequentò l'Accademia militare di Modena conseguendo nel 1865 il grado di sottotenente.

Nella terza guerra d'indipendenza, ufficiale dei granatieri, prese parte alla battaglia di Custoza. Terminata la carriera militare, intraprese quella giornalistica, lavorando nella redazione fiorentina del Fanfulla. Nel 1870, come inviato del medesimo quotidiano, assistette alla breccia di Porta Pia.
Dopo la presa della città, seguì la redazione del quotidiano che si era trasferita a Roma, e qui ebbe l'occasione di frequentare la corte di Vittorio Emanuele II e di conoscere esponenti dell'alta borghesia laica cittadina e dell'ambiente vaticano. Lasciata Roma e trasferitosi a Bologna, continuò nel suo lavoro giornalistico e, dal 1888 al 1901, fu direttore della Gazzetta dell'Emilia.
L'esperienze del soggiorno romano furono dal Pesci trascritte in due libri di memorie Come siamo entrati a Roma. Ricordi e I primi anni di Roma capitale (1870-1878), pubblicati rispettivamente nel 1895 e nel 1907. La prefazione del primo volume fu scritta da Giosuè Carducci il quale apprezzò le doti cronachistiche e narrative dell'autore.
Sempre di sentimenti monarchici, Pesci scrisse alcuni libri e opuscoli dedicati al re Vittorio Emanuele II e al suo successore, il figlio Umberto I, che definì, dopo il regicidio di Bresci, "il re martire".
Malato, abbandonò la professione e morì a Bologna, a sessantadue anni, nel 1908. 

Ugo Pesci s'interessò più volte del brigante di #Sonnino Antonio Gasbarrone ( Sonnino 12 dicembre 1793 - Abbiate Grasso 1 Aprile 1882).
Il 9 Aprile 1882 scrisse infatti un notevole articolo sul giornale "L'illustrazione italiana", esattamente 8 giorni dopo la morte del brigante, il titolo dell'articolo : L' ULTIMO BANDITO.

E di Antonio Gasbarrone scriverà ancora in 
"Come Siamo Entrati In Roma"" (1895), un libro che tratta della storia dell'entrata delle truppe italiane nella città di Roma nel 1870. Il libro analizza gli eventi politici e militari che hanno portato alla fine del potere temporale del Papa e all'unificazione dell'Italia sotto il Regno di Vittorio Emanuele II. Pesci descrive le diverse fasi dell'assedio di Roma e le strategie dei generali italiani, oltre a fornire dettagli sulla vita quotidiana dei soldati e della popolazione civile durante il conflitto. Il libro considerato una fonte importante per la comprensione della storia contemporanea italiana e della questione romana.

E dal libro ecco le righe che parlano del famigerato brigante di Sonnino .

[...]. Non v'è nel forte, degna d'una visita, la sola compagnia degli zuavi.

È da diciannove anni ospite di Civita Castellana, con i suoi seguaci, il famoso bandito Antonio Gasparoni, detto Gasparone, che nel 1825 il Governo pontificio non riuscendo a prendere con la forza, ebbe prigioniero col tradimento, facendogli promettere l' impunità non che molte altre belle cose dall'arciprete Rappini di Sezze. Invece di dargli quanto gli avevano promesso per indurlo a consegnarsi spontaneamente, lo chiusero nel forte di Civitavecchia dove rimase fino al 1850, visitato spesso dai forestieri come una rarità. Molti scrissero di lui: il Mery gli dedicó un intiero capitolo delle Nuits italiennes. Da Civitavecchia fu trasportato a Spoleto, e dopo un anno di soggiorno in quella rocca, a Civita Castellana.

Poichè non era mai stato aperto contro Gasparone alcun regolare procedimento, e quarantacinque anni di reclusione prescrivono qualunque delitto, il governo italiano dovette non molto dopo mettere in libertà il temuto bandito, che si vide girare per Roma, ludibrio della ragazzaglia. Fu allora ricoverato ad Abbiategrasso, dove mori più che novantenne.

Allora, nel 1870, aveva settantasei anni ed era vispo e robusto. Dei suoi compagni, sette dei diciotto arrestati con lui nel 1825 sopravvivevano in buona salute. Il giovinetto della comitiva, un tal Nardone, aveva 66 anni. Il Masi, segretario e biografo del capo banda, che mi dette queste ed altre notizie, se la fama non mente aveva ricevuto da giovane gli ordini sacri, e v'erano certamente a que' tempi parroci e cappellani non più colti di lui.

Mentre parlavo col Masi che, bontà sua, con- siderandomi quasi collega, mi mostrava il manoscritto delle memorie del capo, andato poi a finire non si sa dove, nel forte, dai vicini accampamenti, erano sopravvenuti molti ufficiali di tutti i gradi.


Gasparone ed i suoi occupavano due camere circolari in due torrioni del forte, divise fra loro dalla sola larghezza d'un corridoio ed esternamente riunite da una specie di strada di ronda. Le finestre delle due stanze erano strette e basse, fra i piombatoi, sotto i merli; con inferriate che servivano al rispetto della tradizione, non certamente ad impedire una fuga non mai tentata ed ormai non desiderata: tanto che si permetteva ai detenuti d'andare qualche volta in paese. Due o tre granate erano andate a scoppiare contro le finestrine d'una camera, buttando all'aria stipiti ed inferriate, ed ingombrando di rottami il pavimento.

Le due stanze furono presto affollate. Gasparone raccontava con evidenti segni di vanità appagata, d'essere stato arrestato a tradimento; respingeva l'accusa d'alcuni delitti atroci attribuitigli dalla pubblica voce e dichiarava d'aver sempre nobilmente esercitata una professione che altri hanno poi screditata ed era, secondo lui, rispettabile quanto qualunque altra. Egli conservava il costume della ciociaria che corrisponde a quello convenzionale del brigante italiano aveva una bella testa, ma l'occhio ed il naso leggermente aquilino rammentavano nel loro insieme qualche cosa dell' uccello da preda: la barba aveva lunga, bianchissima e abbastanza pulita.... il che non si poteva dire di tutto il resto di quelle stanze.

Gasparone confidava molto nella giustizia del Governo italiano e ci pregava, tutti in massa, di raccomandarlo a chi poi, non sapeva dirlo, perchè non v'è da meravigliarsi se le idee di lui sul funzionamento di un Governo costituzionale erano molto confuse.

La sera Civita Castellana pareva un altro paese. Ufficiali e soldati vennero a migliaia in città dagli accampamenti e la popolazione si decise ad uscire di casa. In mezz' ora sparirono pane, sigari, bevande d' ogni genere. Al caffè bisognava contentarsi di un bicchier d'acqua inzuccherata: il locandiere della Posta, commosso dalle nostre invocazioni, ci dette da cena ma senza pane.

La mattina del 13 ci alzammo dal letto con la stessa nebbia del giorno prima. Le notizie della notte furono queste. Era morto il soldato del 39º fanteria gravemente ferito a un braccio. Si sapeva che il generale Ferrero, passato il Tevere ad Orte, era giunto in prossimità di Viterbo, da dove il colonnello De Charrette si era ritirato verso Vetralla. Il generale De Chevilly partiva con otto squadroni e due sezioni d'artiglieria per Ronciglione e Sutri per tentare di tagliargli la strada, se il De Charrette avesse avuta l'intenzione di sboccare a Monterosi sulla via Cassia.

Che cosa era accaduto intanto al quartier generale del 4º corpo? Verso il meriggio del 13 vi era giunto un dispaccio cifrato del ministro della guerra. L'ufficiale di stato maggiore di servizio era il capitano Alessandro Buschetti al quale incombeva di decifrarlo, si affrettò a disimpegnare il suo ufficio e a presentare il dispaccio al generale Cadorna. Era stato spedito alle 9 ant. e diceva precisamente così:

"In seguito deliberazione Consiglio de' ministri prego portare grosso suo corpo a marcia forzata sotto Roma, per giungere al più tardi domattina. [...].

Note : Dal testo si evince che Pesci conobbe Gasbarrone e si confrontò con il suo segretario/biografo Pietro Masi.